Ringrazio un amico che mi ha posto la domanda che mi permette di trattare l'argomento odierno. Essa suona così: parliamo di una grande trasformazione del sistema economico prossimo venturo, ma io non mi sono reso conto nemmeno di quello precedente...
Qui credo che la nostra zona possa meglio di altre spiegare quella che fu la trasformazione da sistema industriale a sistema consumistico. Fino alla fine degli anni '70 la nostra zona aveva un altissimo numero di operai ed impiegati occupati in aziende di produzione e trasformazione e relativamente pochi nel commercio e nella grande distribuzione, terziario e terziario avanzato, ovvero servizi alla persona.
Nel giro di pochi anni le grandi industrie hanno chiuso, sono sopravvissute solo piccole e pochissime medie industrie in tutto l'Altomilanese. Nello stesso tempo, sono cresciuti via via il numero di supermercati ed ipermercati, centri commerciali, agenzie di viaggio, palestre e fitness, negozi di ogni genere e per ogni genere di bene di consumo. Si parla di beni di largo consumo, di beni durevoli e via dicendo.
Molta della ricchezza prodotta oggi deriva dal commercio e dalla catena lunga del commercio. Cosa si intende per "catena lunga"? Il fatto che raramente abbiamo vendite dirette costituite da produttore - commerciante - cliente, ma il passaggio da produttore a cliente avviene attravereso due, tre e anche più passaggi. Per ognuno di questi passaggi abbiamo una entità di lavoro che deve essere retribuita e quindi incide sul costo del prodotto.
Nel settore industriale, invece, la crisi degli anni '80 ha provocato l'affinamento della catena produttiva, arrivando da una parte ad ottimizzare i cicli produttivi, introducendo l'automazione ed il concetto di qualità, certificazione e garanzia al consumatore. Dall'altra ha cercato di ottimizzare la catena della materia prima, creando centrali di acquisto per le materie prime e razionalizzando la logistica, fino al concetto di "just in time", ovvero di merce che arriva al reparto produttivo nelle quantità e nei tempi ottimali per la produzione, quasi senza necessità di magazzini per lo stoccaggio delle merci.
Questi due meccanismi si intersecano proprio nel lato occupazionale. Le forze di lavoro espulse trent'anni fa dai reparti produttivi hanno costituito gli elementi di valorizzazione del commercio e dei servizi. Oggi la contrazione del mercato crea problemi giganteschi a questo sistema, perchè l'affievolirsi della richiesta genererà un ritorno negativo su tutta questa catena, che perderà punti di vendita, che causeranno una contrazione dei distributori secondari, che ricadranno sui distributori primari o concessionari, che porteranno ad un calo delle vendite delle aziende e conseguentemente a minori quantitativi di prodotti e servizi acquistati e attraverso questi, di nuovo verso altre aziende dirette o terziste, fornitrici di materiali, servizi o personale indiretto.
Quando le aziende vanno sotto un certo limite di tolleranza e non dispongono di risorse proprie di autofinanziamento e laddove le banche non siano in grado di intervenire, le aziende chiudono o falliscono.
So che ho semplificato molto i concetti, ma credo che anche gli economisti più qualificati possano avallare questa spiegazione e semmai potranno contribuire a chiarire come intervenire e dove intervenire. La sollecitazione a non calare con i ritmi di consumo per non far collassare il sistema si dovrebbe coniugare con la certezza del reddito. In un clima abbondantemente pervaso dalla paura (e chi oggi predica ottimismo proprio ieri ne spargeva a piene mani), sarà molto difficile impedire che la crisi si approfondisca.
La questione è che ad essere colpite profondamente da questo stato di cose, che si è originato tra l'altro proprio dai grandi capitalismi, siano oggi proprio le banche, le uniche che in un sistema economico "sano" potrebbero fare qualcosa per salvare l'industria ed il commercio.
Sarà una dura e lunga lotta, dalla quale per forza di cose emergerà un nuovo sistema economico.
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