Alessandro Berteotti

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Non ho verità da regalare, solo un pensiero libero, che liberamente lascio al vostro commento

lunedì 16 novembre 2015

Barbarie infinita

Sono tre giorni che mi chiedo cosa può essere il significato vero di quanto accaduto la sera del 13 novembre 2015 a Parigi. Una città che amo in modo particolare, avendoci vissuto per circa sei mesi per motivi di lavoro e per la quale ho un amore paragonabile solo a Roma.
Il primo pensiero va a chi quella sera ha lasciato la vita, alle famiglie e a tutti coloro che hanno dovuto raccogliere e condividere la pena di chi in una notte che doveva essere di gioia, ha trovato la morte. Ma il vero pensiero è che a morire sono stati quasi esclusivamente giovani di 20, 30 anni, uccisi da giovani della stessa età.
Chi può decidere deliberatamente di lasciarsi morire e di uccidere quanti più giovani possibile, senza una motivazione determinata da una forma di fanatismo che oscura la mente, fa perdere ogni controllo alla propria ragione, ingaggiata da motivazioni settarie e non religiose?
Qui credo che la religione c'entri ben poco, esiste solo una sete di potere e una barbarie di proporzioni sconfinate.
Ha detto bene Papa Francesco (e ci mancherebbe), affermando che un Dio che ordinasse di uccidere sarebbe una bestemmia. Nessuna religione avrebbe necessità di ordinare quello che è successo a Parigi. Chi ha ordito questo attentato è solo un residuo della civiltà. Nulla ha a che fare con alcuna relazione, di carattere etico, religioso, umanitario, sociale o spirituale.
Chi ordina stragi contro civili innocenti persegue solo obiettivi abbietti e meschini. Ma in questo quadro dobbiamo anche ammettere delle colpe e delle manchevolezze.
La prima è l'Europa. Dopo tutti questi decenni trascorsi a cercare una unità, l'abbiamo raggiunta solo dal punto di vista monetario e non delle coscienze e del vivere civile. Ci vogliono fatti come questi a scuoterci da dentro. Ci vogliono i morti nel Mediterraneo far farci accorgere, noi Italiani, che a presidiare questo tratto di mare ci siamo solo noi e dall'altra parte del mare criminali che una volta di più giocano con le pene della povera gente, con il loro terrore di vivere là dove sono nati e cresciuti,
Non siamo riusciti a costruire una coscienza europea, e temo che tra qualche mese ci saremo anche scordati di questo terribile episodio perchè la nostra vita sarà risucchiata dal nostro agitarci frenetico e spasmodico al ritmo di un cellulare o di un tablet.
Giovni che si ritrovano per una serata spensierata, per un aperitivo, per un po' musica e per una pausa di serenità, vengono trucidati. E' il nostro futuro ad essere trucidato.

lunedì 9 novembre 2015

Il complotto

Ieri a Valencia (Spagna) si è giunti all'epilogo della triste vicenda del mondiale MotoGP 2015. Gli italiani gridano allo scandalo nei confronti dei piloti spagnoli che hanno evitato di battagliare per far perdere il mondiale a Valentino Rossi. Eh, sì, perchè di questo si è trattato: non una corsa per vincere, ma per far perdere. Su questo tutti i cronisti italiani e buona parte di quelli stranieri sono concordi.
Ci sarebbe già molto da dire solo su questo, sulla sconfitta dello sport e in particolare delle competizioni motociclistiche, di gran lunga (ancora più che nell'automobilismo) sport individuale.
Eppure, quando nello sport si introducono interessi economici rilevanti, scommesse ed altri fatti estranei allo sport, possono anche accadere fatti come questo.
Mi permetto pertanto di sottoporre alla vostra attenzione un diverso modo di lettura di questo avvenimento, quello di un complotto contro lo sport in generale e contro Valentino Rossi e la Yamaha in particolare.
Io non ho conoscenze dirette dei fatti, come credo la maggior parte degli spettatori e degli sportivi che seguono queste gare, ma un'idea dopo oltre quarant'anni di passione per la moto me la sono fatta.
Valentino Rossi è un'icona di questo sport, ha una storia personale di più di vent'anni di gare e successi, 9 mondiali e centinaia di podi. Alla sua età molti altri corridori erano già scesi dalla moto o erano ancora attivi, ma in fondo alle classifiche perchè i giovani li superavano. Valentino no.
Lui lotta ancora per il mondiale, ha capacità e abilità capaci di piegare anche il più ardito dei ventenni. Perchè Valentino ha un carattere e una forza mentale che gli altri non hanno.
Lo ha dimostrato nella gara che, secondo me, ha innescato questo complotto contro di lui: Misano.
Mentre gli altri entravano a cambiare le gomme quando ha smesso di piovere e la pista si asciugava, lui è rimasto fuori e ha costretto Lorenzo (che faceva gara su di lui) a dover prendere la decisione di cambiare le gomme e poi tentare di guadagnare su di lui il più possibile. Risultato: Lorenzo si stende.
Da quel momento appare chiaro che Valentino è più vicino al mondiale e soprattutto, che nessuno spagnolo vincerà alcun mondiale nel 2015. Sarebbe stata la prima volta dal 2002 che nessuno spagnolo vinceva un titolo mondiale del circuito di motociclismo.
Chi poteva avere interesse ad ordire questo complotto? Sicuramente qualcuno all'interno della Federazione Spagnola, la Honda che avrebbe potuto mettere della zizzania in casa Yamaha e, se le voci di corridoio sono vere, portarsi a casa un campione del mondo in carica (Lorenzo). Ma possono avere avuto un ruolo anche sponsor, scommettitori e altri interessi economici: chi avrebbe scommesso su Valentino campione ad inizio anno?
Ecco perchè i piloti spagnoli (ed in particolare Lorenzo e Marquez) si sono coalizzati contro Valentino. Credo nella buona fede di Pedrosa, alla ricerca di un riscatto personale, e l'intimidazione di Marquez all'ultimo giro, quando Pedrosa stava per sorpassare lui e Lorenzo, appare ancora più chiara come il gesto antisportivo di un anticampione.
Se la Federazione internazionale non fosse così pavida e coinvolta come ha dimostrato di essere di fronte al ricorso di Valentino al TAS, sicuramente avrebbe materiale per indire almeno un'inchiesta su questi fatti. Il comportamento quanto meno strafottente di Marquez verso Valentino a Sepang stride in maniera assordante contro il fatto di non aver tentato nel GP di Valenzia nemmeno di infastidire Lorenzo, nemmeno un tentativo di sorpasso anche quando era evidente che ne aveva la possibilità tecnica e sportiva.
Vedere lo sport maltrattato in questo modo fa male. Noi italiani ce l'abbiamo per il fatto che ad essere danneggiato sia stato Valentino, ma in generale è stato commesso un crimine sportivo sotto gli occhi di tutti senza che nessuno dei vertici della Federazione prenda posizione.
La caduta di Marquez a Sepang è stata frutto della provocazione, a cui Valentino, per quanto, non ha saputo sottrarsi, proprio perchè non è una macchina ma un essere umano. Marquez probabilmente sarebbe caduto anche senza il calcetto di Valentino, ma quel gesto gli ha dato l'occasione di enfatizzare il suo sacrificio.
Io mi auguro solo che qualcuno abbia il coraggio almeno di voler cercare la verità, oltre le false giustificazioni sulle prestazioni della gara di ieri e su quello che a noi non è dato sapere, ma che gli strumenti di gara possono senz'altro chiarire con la telemetria.
Lo voglio sperare per lo sport della moto, che adoro troppo per vederlo calpestare così.

sabato 7 novembre 2015

E' passato tanto tempo dall'ultima volta che ho scritto qualcosa nel mio vecchio blog.
Tante cose sono cambiate, tante storie si sono intrecciate, confuse, sgualcite... Siamo umani e certe volte per amore facciamo le stupidaggini più grosse.
Ho sentito in queste sere la necessità di tornare. Di tornare a scrivere, come facevo fino a due anni fa e come avrei voluto continuare a fare. A raccontare della vita. Ma poi la vita mi ha colpito, mi ha distratto.
Ora ritorno, non so neanche perché. Non mi interessa più parlare di politica, ma di persone.
Di fatti e di persone. Di fatti concreti che possano interessare ancora chi ha una speranza di poter cambiare qualcosa, dentro e fuori di se.
Avrei voluto aprire un nuovo blog e chiamarlo Classe1958. Il perché lo capirete se avrete la voglia e il coraggio di seguirmi in questo percorso.
C'è un solco tra il prima e il dopo. Non sto a raccontare il perché. Solo che adesso c'è il dopo.
E riparto da una data: 9 novembre 2015. Era sul mio calendario da 34 anni. Esattamente, era il mio trentaquattresimo anno di lavoro, che unito all'anno di militare mi avrebbe consegnato il diritto alla pensione. Secondo le regole che mi erano state date quando iniziai a lavorare. Come mi sembrava lontana quella data...
Ora che l'ho raggiunta, so che avrò almeno altri nove anni di lavoro. Almeno.
Chi ha cambiato le leggi lo ha fatto sicuramente pensando al bene e all'interesse della nazione, ma non ha pensato che per qualche milione di persone sarebbe cambiata la vita.
Anche questo c'è nel solco che ho attraversato. La consapevolezza che le regole possono cambiare, ma che qualche volta chi le cambia ha ragioni che ignorano la fragilità e l'interesse dei singoli.
Il bene comune è un'utopia, oggi più che nel passato. Ma questa utopia è anche l'unica speranza che abbiamo di poter pensare che un sacrificio fatto oggi possa essere di utilità a chi ci seguirà.
Che io lavorerò di più perché i miei figli possano avere un lavoro, un futuro.
Lo spero con tutto il cuore.

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