Alessandro Berteotti

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martedì 11 gennaio 2011

Lo sciopero dei pendolari

Negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare sulla stampa dei pendolari, in particolare per due ragioni: i ritardi che in questo periodo hanno accumulato i treni su quasi tutte le tratte e l'annunciato aumento delle tariffe di trasporto pubblico, tra cui quello ferroviario.
Anche io sono stato più volte intervistato come portavoce dei pendolari di Busto Arsizio e non ho mancato di far sentire l'opinione di molte persone che, come me, vedono molte ombre e poche luci in questo momento.
Aumentare le tariffe solo perchè il Governo non riversa più i contributi che dovrebbe alle Regioni per il trasporto pubblico non sembra giusto. I pendolari di Milano sono circa 800.000 e di questi il 60% sono lavoratori, quasi tutti dipendenti, i primi contribuenti dello Stato.
Noi versiamo le tasse fino all'ultimo centesimo di quanto dovuto, quindi abbiamo diritto di ricevere i servizi per cui lo Stato ci tassa; inoltre, in quanto preferiamo il trasporto pubblico anzichè quello privato (automobili, per capirci), dovremmo essere premiati e non ulteriormente "tartassati". Bella dimostrazione di federalismo fiscale...
Questa non è giustizia fiscale, anzi non è proprio giustizia.
Inoltre le tariffe dovrebbero essere proporzionali a tre componenti del servizio: frequenze delle corse, saturazione dei posti a sedere e puntualità. Tutte le tratte lombarde che portano a Milano sono ampiamente carenti, negli orari pendolari, di questi tre ingredienti.
Il risultato è che si viaggia in piedi, scomodi e accalcati, quasi sempre in ritardo e dopo aver atteso un treno per decine di minuti dopo il passaggio del precedente, che magari si è perso per un soffio.
Chi governa la Lombardia, ricca e operosa regione del Nord, si faccia un giro per l'Europa sui treni delle ferrovie svizzere, francesi o tedesche e si renda conto del livello di servizio di questi Paesi. Lo facciano e poi ci pensino prima di applicare aumenti a tariffe che non sono proponibili in raffronto a questi parametri.
Non ci sono giustificazioni, né ragioni che sostengano questa tesi. Immaginatevi se tutti i pendolari delle ferrovie lombarde dovessero per un giorno decidere di andare al lavoro in auto, in una specie di sciopero dei pendolari. Avete presente cosa succederebbe? La paralisi totale del traffico automobilistico in buona parte della Lombardia, questo succederebbe, con un danno economico enorme, sia in termini di perdita di giorni di lavoro che di costi per mancata produzione e distribuzione di beni e servizi.
Questo sarebbe un danno economico ben più grave di qualsiasi mancato introito per il mancato aumento delle tariffe già programmato. Se ne ricordino i nostri amministratori pubblici.

venerdì 7 gennaio 2011

l'Italia delle "a" accentate

Oggi si celebrano i 150 anni dell'Unità d'Italia, con il Presidente Napolitano a Reggio Emilia. Una celebrazione fortemente voluta in sede istituzionale, ma che rischia di passare in modo anonimo sulle nostre questioni quotidiane, sul nostro essere indaffatati in tante piccole cose, a cui diamo costantemente maggiore valore ed interesse di quanto dovremmo in realtà fare.
Non dimentichiamo le centinaia di migliaia, i milioni di persone nostri connazionali che in questo secolo e mezzo hanno combattuto per l'indipendenza e per la dignità di questa nazione, nelle guerre di indipenza, nelle ingloriose guerre coloniali, ma soprattutto nelle due guerre mondiali e nella lotta partigiana per la riconquista della libertà.
Perfino i caduti più recenti, da Nassiria all'Afghanistan meritano rispetto e memoria, anche se le motivazioni per cui noi siamo presenti in quei luoghi poco hanno a che vedere con il valore delle lotte prima citate. Libertà, verità e dignità: tre parole con la "a" accentata che dovrebbero scuotere le coscienze di tutti, a prescindere dal colore politico, dal credo religioso o dallo stato sociale in cui ci si trova.
Eppure, quanto poco dignitoso appare il nostro vivere quotidiano recente! Il tutto ha una spiegazione assai semplice: come dicono a Napoli, "o' pesce fete a' capa". Qui il riferimento al signor Berlusconi è d'obbligo.
Si sono scritti ormai fiumi di parole, decine o forse centinaia di libri su di lui, per lo più per illustrarne le malefatte e il cattivo pensiero, eppure gode ancora di una discreta credibilità, anche se in celere diminuzione. In ogni occasione finora è stato però in grado di estrarre dal cappello il colpo a sorpresa quando meno te lo aspetti, e questo ne ha ingigantito il valore.
Eppure il signor "Ghe pensi mi" ha fallito su tutti i fronti, ha perso in un paio d'anni tutto il vantaggio che aveva sulle opposizioni ed ha conservato la maggioranza in questa legislatura solo a colpi di denaro, facendo passare il sistema di governo da democratico (potere del popolo espresso attraverso i propri rappresentanti eletti) a plutocratico (potere del denaro che compera il consenso, anche se poi il conservarlo può essere anche più difficile).
In questo modo abbiamo tradito la Libertà, la Verità e la Dignità, ed abbiamo compromesso anche l'Onestà di un popolo e di una nazione. Già Dante Alighieri, quasi 700 anni fa, cantava nel Purgatorio della sua Divina Commedia lo stato del nostro paese con chiara preveggenza: "Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincie ma bordello!"
Donne usate senza dubbio da Berlusconi, prima per il proprio piacere e poi per distruggere le istituzioni. Veline messe al Parlamento, nel Governo o a prendere soldi in Consigli Regionali, alle spalle dei cittadini che fanno fatica a tirare la fine del mese. Per carità, ci stanno anche i figli ignoranti dei ministri, tanto che viene il dubbio che pure il ministro lo sia.
E vista la padronanza di Dante che ha Benigni, viene da chiedersi se mettere un novello poeta incompreso al Ministero della Cultura non sia una mossa involontariamente arguta e in linea con le scelte di fondo: rendere così difficile governare e risanare questa povera Italia a chi seguirà, prima o poi per forza, le orme di un tale distruttore, al punto che gli verrà di fatto garantita l'impunità. Ed in qualche modo stiamo già assistendo a questo assurdo delitto, con la richiesta fatta da Rino Formica e da altri per dare l'immunità a Berlusconi, fino a proporlo come Senatore a vita. Promuoveatur ut admoveatur: promuoviamolo per toglierlo dalle balle.
Che triste ricordare l'unità d'Italia in queste condizioni. Napoli ormai, più che fetere per le teste di pesce, fete per le migliaia di tonnellate di rifiuti che la assediano, dimostrando ancora una volta che tutta la politica del Governo si basa su affermazioni stereotipate e sterili più che su fatti concreti.
Poche leggi e molte vacanze al Parlamento, nel 2010. Eppure quasi due miliardi di euro spesi solo per il mantenimento dei due rami del parlamento. La democrazia quando non è partecipata e partecipativa rischia di essere peggio di altre forme di governo. Non è l'assenza di un leader di minoranza che compromette le possibilità di cambiare governo, ma il fatto che anche nella minoranza vi sia chi sarebbe pronto al salto della quaglia per montare domani sul carro del Governo e mantenere i propri privilegi. Libertà, Dignità, Verità, Realtà, Onestà, Umiltà: mancanza totale di umiltà. Questo il terreno che rende possibile al virus dell'arroganza di estendersi fino al midollo della Repubblica, fino a coinvolgere la base della democrazia in un delirio di ottimismo di cui non c'è, nella realtà, alcuna traccia.
Non c'è traccia di ottimismo in questa mia riflessione perchè non ho motivo di credere che ve ne possa essere. Non vedo ardore ed entusiasmo nella società, vedo solo false verità costruite da giornalisti e uomini di marketing che illudono il popolo con l'utilizzo esclusivo dei mezzi di comunicazione. Vedo lo sfinimento e la prostrazione di molti uomini e donne che si impegnano nei servizi alla collettività, dall'insegnamento, alla sanità, alla giustizia, alla sicurezza, al pubblico impiego, ogni giorno, ogni momento, con sacrificio ed abnegazione, ed a cui viene tolto perfino il diritto alla fierezza del proprio lavoro, assimilato a quello di lazzaroni e mangiapane a tradimento.
Povera Italia, quella dei Ministri che usano i beni pubblici e la loro carica per soddisfazione personale, che si sentono sopra la legge, che fanno false comunicazioni sociali e poi accusano altri di averli male informati. Impossibile informarsi prima?
Dilettanti allo sbaraglio che mirano a migliorare solo la propria immagine anzichè curarsi del bene pubblico e della sicurezza nazionale. Perchè dovrei essere ottimista?
Eppure lo sarò, ottimista, per dare testimonianza ai miei figli e a tutti coloro che sperano in un futuro migliore che questo è possibile. Certo, occorre cambiare un po' le proprie convinzioni, occorre fare un po' di pulizia, occorre non credere più in quello che ci viene detto, ma solo in quello che viene fatto, occorre iniziare a fare in prima persona senza aspettarsi che qualcun altro ce ne renda merito.
Occorre dare il giusto peso alle cose e non aspettarsi di passare solo da facili scorciatoie, occorre non lasciare solo chi soffre o ha meno perchè senza solidarietà non c'è futuro, a cominciare da ciò che vediamo intorno a noi. Occorre pensare che abbiamo bisogno di tutti per fare l'Italia di domani e che la nuova Unità nasce da diverse culture e non solo da diversi territori. Occorre rinnegare il "pensiero breve", speculativo, che abbiamo avuto come orizzonte politico in questi ultimi 15 anni, occorre vincere la "teoria della paura", che può e deve finire, in questa nuova Unità perchè l'Italia è fatta dalle persone che vogliono che questo Paese sia forte, saldo e fiero e che lavorano per questo, non già per il Paese dei Balocchi costruito negli ultimi anni da un novello Mangiafuoco.
Viva la nuova Unità d'Italia, quindi, costruita sulle "a" accentate.

lunedì 3 gennaio 2011

Auguri, Busto!

Tre di gennaio, primo giorno lavorativo. Sarebbe l'occasione giusta per augurare buon 2011 a tutti. E gli auguri li faccio volentieri. Peccato che in questo momento avremmo bisogno di ben altro che degli auguri.
Chi ha avuto modo di ascoltare o leggere i commenti all'omelia di Monsignor Agnesi, le osservazioni alla vita pubblica della città di Busto Arsizio (estendibile perlatro a un po' tutta la società italiana) sono gentili nei toni, ma taglienti nei contenuti.
Conservare la speranza, questo il messaggio di fondo, che però deve avere come motore una mentalità nuova, un'attenzione maggiore ai bisogni delle persone, una valutazione più attenta delle risorse a disposizione con una ridistribuzione più equa.
C'è un fatto: se la Chiesa diventa per una volta l'anno la voce della città, per tutto il resto dell'anno si sente solo la voce ufficiale del potere che afferma la propria verità. Le cose che contanto sono quelle che si fanno, non quelle che si dicono di fare.
I tanti problemi della città sono spesso minimizzati, volutamente ignorati; i ritardi, le mancanze, le omissioni sono spesso colpa del caso o di chi ha preceduto. Già, ma chi ha preceduto questa amministrazione?
Chi ha preceduto ha portato qui la Corte dei Conti, chi ha preceduto ha svuotato le casse del comune acquisendo mutui per costruire monumenti alla propria grandeur.
Ma i bisogni della città erano altri. Ad esempio, per anni l'amministrazione ha tenuto un atteggiamento almeno "neutro" nei confronti dello sviluppo industriale, in particolare nei confronti di alcune aziende che hanno chiesto di avere spazi per sviluppare l'imprenditorialità di questa zona. Come si fa ad essere così insensibili, ignorando che il mantenimento di un buon tasso di occupazione è la base per superare la crisi, che già di suo seleziona le aziende sane da quelle malate?
Ha ragione, monsignore: se viene meno la speranza, possiamo andare tutti a casa. Stranamente però la città pensa ancora di essere ad un livello superiore alle proprie possibilità. No, non lo siamo più. Solo la ricchezza accumulata negli anni passati permette oggi di pensare di avere ancora solidità economica.
Ma sappiamo che la finanza non è l'economia. E che la finanza non è ricchezza diffusa.
Busto rifletta anche su queste cose.

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