Ora Obama è Presidente degli Stati Uniti a tutti gli effetti. Ora possiamo guardare a lui non come un simbolo, ma come una presenza vera. Vorrei qui riprendere alcuni passaggi del suo discorso di ieri per riflettere insieme a voi.
"... E' ormai ben chiaro che ci troviamo nel mezzo di una crisi. La nostra nazione è in guerra contro una rete di violenza e di odio che arriva lontano. La nostra economia si è fortemente indebolita, conseguenza della grettezza e dell'irresponsabilità di alcuni, ma anche della nostra collettiva incapacità di compiere scelte difficili e preparare la nostra nazione per una nuova era. C'è chi ha perso la casa. Sono stati cancellati posti di lavoro. Imprese sono sparite. Il nostro servizio sanitario è troppo costoso. Le nostre scuole perdono troppi giovani. E ogni giorno porta nuove prove del fatto che il modo in cui usiamo le risorse energetiche rafforza i nostri avversari e minaccia il nostro pianeta ... Oggi vi dico che le sfide che abbiamo di fronte sono reali. Sono serie e sono numerose. Affrontarle non sarà cosa facile né rapido. Ma America, sappilo: le affronteremo. Oggi siamo riuniti qui perché abbiamo scelto la speranza rispetto alla paura, l'unità degli intenti rispetto al conflitto e alla discordia". Ecco un primo pensiero: il passaggio sulla crisi è posto all'inizio del suo discorso. Non minimizza, non allontana lo spettro per niente piacevole. Lo affronta a viso aperto. Confrontate questa posizione con quella del nostro Governo e in particolare quella di Berlusconi!
"Quel che i cinici non riescono a capire è che il terreno gli è scivolato sotto i piedi. Gli argomenti politici stantii che ci hanno consumato tanto a lungo non sono più applicabili. La domanda che formuliamo oggi non è se il nostro governo sia troppo grande o troppo piccolo, ma se funzioni o meno - se aiuti le famiglie a trovare un lavoro decentemente pagato, cure che si possano permettere, una pensione degna. Laddove la risposta sia positiva, noi intendiamo andare avanti. Dove sia negativa, metteremo fine a quelle politiche. E coloro che gestiscono i soldi della collettività saranno chiamati a risponderne, affinché spendano in modo saggio, riformino le cattive abitudini, e facciano i loro affari alla luce del sole - perché solo allora potremo restaurare la vitale fiducia tra il popolo e il suo governo". Ed ecco quello che considero il passaggio centrale del discorso di Obama: il cambiamento. Politici stantii, li chiama lui, e farei fatica a trovare per loro un nome diverso. Cambiamento, con tutte le resistenze che questo termine si porta appresso, ma l'unica vera possibilità di superare questo momento. Responsabilità, perchè chi ha già sperperato non venga di nuovo promosso, ma punito. Severamente. Per restaurare la vitale fiducia tra il popolo e il suo governo: chi più di noi ne ha bisogno?
"Perché noi sappiamo che il nostro retaggio "a patchwork" è una forza e non una debolezza. Noi siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e induisti e non credenti...Per il mondo musulmano noi indichiamo una nuova strada, basata sul reciproco interesse e sul mutuo rispetto...Alla gente delle nazioni povere, noi promettiamo di lavorare insieme per far fiorire le vostre campagne e per pulire i vostri corsi d'acqua; per nutrire i corpi e le menti affamate...Forse le nostre sfide sono nuove. Gli strumenti con cui le affrontiamo forse sono nuovi. Ma i valori da cui dipende il nostro successo - lavoro duro e onestà, coraggio e fair play, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo - tutto questo è vecchio". La parte conclusiva si rifà ai valori fondanti la società americana e tutta la cultura occidentale. Non rinnega il passato, ma guarda al futuro attraverso questi valori antichi. Le utlime parole sono forse troppo retoriche, ma di sicuro effetto: "E con gli occhi fissi sull'orizzonte e la grazia di Dio su di noi, abbiamo portato avanti il grande dono della libertà e l'abbiamo consegnata intatta alle generazioni future".
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