Sinceramente sono frastornato da questi primi 100 giorni del Ministro delle Politiche scolastiche, Maria Stella Gelmini. L'unica cosa che si coglie, nel complesso delle sue indicazioni e delle azioni finora intraprese, è un certo gusto per le cose del passato: dal grembiule al voto in condotta, dall'abolizione dei giudizi agli esami di riparazione, è stato tutto un ritornare ad una scuola antecedente le riforme del 1977 (decreti delegati) e del 1962 (abolizione della scuola di avviamento), fino a rifarsi ad alcuni punti della riforma Gentile del 1923, attuata durante il primo governo Mussolini.
Ma al di là di queste apparenze, credo si debba fermarsi a riflettere su alcune cose.
La scuola ha bisogno di una seria ed articolata riforma. Non ha bisogno di un lifting, di un abbellimento: deve essere rimessa in linea con i tempi e con le esigenze di un paese che vuole restare fra i primi del mondo.
Per questo non possiamo fare a meno di guardare a cosa succede nel resto del pianeta e allora pare evidente che il valore maggiore stia nel formare insegnanti di valore, che sappiano trasferire ai loro allievi una formazione qualitativamente eccellente.
Non è tanto e solo il metodo di valutazione, quindi, ma cosa e come si insegna ai ragazzi.
Quando il Ministra Gelmini attacca, poi si corregge, gli insegnanti meridionali, da buona bresciana si lascia irrettire da un luogo comune: gli insegnanti meridionali sono meno validi perchè è più facile laurearsi al sud e quindi accedere alle cattedre d'insegnamento. Non è così, ma se anche lo fosse, ci dovremmo tutti interrogare sul valore di certe valutazioni anche all'interno della scuola.
Eduardo De Filippo diceva che gli esami non finiscono mai: è verissimo. Siamo sempre sotto esame, tutti, non solo nella scuola. Allora a maggior ragione è necessario impegnarsi per superare questi esami, sempre che l'esaminatore sia onesto e preparato.
Anche il voto in condotta mi lascia perplesso, sebbene mi pare sia considerato positivamente. Credo che una volta di più si confondano causa ed effetto. I bulli a scuola non si placheranno con questo provvedimento, semmai quella che potrà essere mitigata è l'emulazione da parte di chi avrebbe qualcosa da perdere da un comportamento così sanzionato.
Il provvedimento di bocciatura trattiene i bulli all'interno della struttura scolastica, della classe, quindi l'effetto reale si concretizza solo a fine anno, mentre le vittime da loro prescelte restano psicologicamente sotto pressione fino ad allora. Evidentemente il problema è pedagogico e va affrontato non differendolo nel tempo, ma affrontandolo sul nascere, scoraggiandone gli effetti diretti e l'emulazione.
Il ruolo della famiglia, che sempre più delega una parte della formazione dei propri figli a strutture esterne, deve tornare centrale: essa è la prima che non può e non deve abdicare al proprio ruolo educativo e formativo, anche se molte possono essere le ragioni di tale distacco.
Vi sono dunque due dimensioni principali da considerare nella scuola: quella dell'offerta formativa, sia qualitativa che quantitativa, e quella del ruolo delle parti sociali che vi operano. Non si può migliorare l'uno senza avere azione corrispondente anche sull'altro.
Si parla molto, in questi ultimi tempi, di condividere una riforma della Costituzione su ampia base politica: a mio giudizio la stessa cosa dovrebbe essere fatta condividendo ed attuando le linee di indirizzo sulle "tre esse": scuola, salute, sicurezza.
Le riforme tentate da Berlinguer e dalla Moratti sono state cancellate dai governi che li hanno seguiti: da questo punto di vista non siamo ancora "adulti" per un sistema bipolarista, alternativo, che possa stabilire tutte le linee socio-economiche di indirizzo proprio, ma che non stravolga quanto fatto dai predecessori, e che, al contrario, possa portare a termine progetti eventualmente lasciati incompleti. Nell'interesse unico dei cittadini e non della compiacenza dei politici.
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