Alessandro Berteotti

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venerdì 19 settembre 2008

Dal carcere alla piazza

Sono convinto che spesso, in buona fede, commettiamo errori di valutazione macroscopici pur pensando di avere titolo ad emettere giudizi. Sbagliamo dallo sport ai nostri investimenti, ma soprattutto sbagliamo quando portiamo il nostro giudizio verso le persone, facendolo diventare un pregiudizio.
La parola "Carcere" ci fa correre un brivio alla schiena. Pensiamo ad un luogo di pena, in tutti i sensi: per chi vi è costretto, a chi lì svolge il suo lavoro, a chi è parente di uno e dell'altro. Pensiamo che lì dentro, nel carcere, non vi possa essere nulla di buono, sbagliando.
Ieri sera credo che tutti noi presenti abbiamo ricevuto una lezione, preziosa, che può arricchire la nostra conoscenza e sfatare un mito. Questo vale per il carcere di Busto Arsizio, ma anche per la detenzione in genere.
Abbiamo ascoltato testimonianze di chi vive nel carcere (detenuti, guardie carcerarie, dirigenti di istituti di pena) e chi vive con e per il carcere (volontari, don Silvano, cooperative, assistenti sociali, operatori del sociale).
Abbiamo visto un documentario, venti minuti. Uno spaccato vero di vita carceraria a Busto Arsizio. Nessuna commedia, nessun attore, tutto vero. Non ci sarebbe stato nemmeno il tempo di preparare qualcosa di diverso.
Due terzi dei detenuti di Busto Arsizio (250 su 400) sono extracomunitari, con tutto quello che ciò comporta: lunghi mesi se non anni senza contatti con la famiglia, senza vedere moglie e figli e altri parenti. La situazione può essere diversa per gli italiani, ma non è detto.
Particolarmente illuminanti, anche più emozionanti dello stesso filmato, le testimonianze degli operatori: sentire la passione con cui la Commissaria delle Guardie Carcerarie parla di persone e non solo di detenuti, parlare non solo di detenzione, ma soprattutto di rieducazione per tornare alla società delle persone recuperate, e sentire che il tasso di chi reitera il reato è minimo, tutto ciò confuta il nostro pensiero che invece ci suggerisce che un criminaleresta sempre tale.
O la fiducia di chi si spende perchè un detenuto possa avere un posto di lavoro come qualsiasi persona. Chi non pensa: perchè questi dovrebbero avere un posto di lavoro e non mio figlio, che di certo criminale non è? Vero, ma comunque un carcerato il posto di lavoro se lo deve guadagnare e conservare come qualsiasi persona, non ci sono scorciatoie, anzi.
E dal lavoro viene la lezione vera. Il carcere è meno pesante per chi vi è detenuto se può lavorare, se può allontanare i pensieri e dare forma concreta alla propria attività. Vedere crescere un muro, preparare la cena o anche spendersi in lavori più umili, come fare le pulizie. E' importantissimo ed è una lezione anche per chi è fuori dagli stretti spazi del carcere.
Questa serata resterà nella memoria di chi vi ha partecipato e forse aiuterà a vedere le cose anche da un altro punto di vista.

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