Alessandro Berteotti

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giovedì 30 ottobre 2008

All'indomani del decreto Gelmini

Oggi non scrivo io, ma ospito. Ed ospito nientemeno che il pensiero fresco fresco di un senatore del PD, Paolo Rossi, varesino e omonimo di tanti altri, che mi ha mandato il suo pensiero in proposito e mi sento di condividere con voi:

Il decreto Gelmini è stato approvato nell'Aula del Senato: un'Aula da cui – non appena usciti – era possibile udire i cori e le manifestazioni di protesta che hanno costantemente accompagnato la discussione, fino al voto e oltre. Era da tempo che non si assisteva a cortei di studenti di tali proporzioni, uniti nel rappresentare ed esibire uno stato di disagio, anche a prescindere dalle diverse posizioni politiche: Maurizio Crozza, introducendo la puntata scorsa di "Ballarò" sottolineava ironicamente come la Gelmini ha avuto il merito, se non altro, di mettere tutti d'accordo, facendo arrabbiare indistintamente studenti e insegnanti, genitori e persino bidelli, in una parola l'intero universo che ruota intorno al mondo della formazione e della Scuola.
Gli svarioni di cui il ministro è stata interprete sublime fanno pensare che, quando si affrontano certi temi, forse bisognerebbe avere maggiore autorevolezza e un briciolo di credibilità: e il disorientamento che ne è seguito, da parte della Gelmini, è stato uno spettacolo che stringe il cuore.
L'atteggiamento del Governo, fin dai primi passi, è stato molto chiaro: dal punto di vista cosmetico-pubblicitario offrire segnali rassicuranti e populisti (dall'abolizione dell'ICI alla Robin Hood tax all'affaire Alitalia…), mentre dal punto di vista pragmatico compulsare il librone dei conti per decidere che tagli operare, usufruendo del mezzo più diretto: servendosi cioè, non a caso, di decreti per non por tempo in mezzo – viste anche le proporzioni dei numeri nei due emicicli – e dunque, nei fatti, negarsi a prescindere a una più ampia dialettica parlamentare. Come se a questo bastasse il montare di un consenso tanto pubblicamente ostentato quanto, a giudicare dalla situazione e dalla gravità dei problemi in atto, a dir poco effimero.
Ma questo, come ormai è chiaro, rientra nella strategia del Miliardario ridens, secondo il quale il dialogo è un'opzione come un'altra, buona all'occorrenza ma subito rigettata se il confronto diviene aspro e di conseguenza si verifica qualche turbativa sulla via, asfaltata di nuovo, delle magnifiche sorti e progressive del centrodestra.
Gli Italiani hanno la memoria corta, com'è noto, e forse non ricordano – nei toni e nei temi – in cosa consistette l'opposizione dell'opposto schieramento al passato governo Prodi: quel che ieri appariva scellerato oggi è ragionevole, quel che era inutile oggi è necessario, e quelle manifestazioni che ieri testimoniavano il malcontento dell'Italia oggi sono solo la prova di un centrosinistra diviso e inaffidabile.
Non ci vuol molto a comprendere che il nostro è un Paese a crescita zero, impantanato in dinamiche economiche recessive e che, a colpi di decreto le cose cambiano, certo, ma non si riformano. Parlare di riforme, come quella della Scuola in questa situazione (è stato da voci ben più autorevoli della mia sottolineato), è risibile oltre che falso. Queste sono "riforme" piovute dall'alto e generate solo dalla necessità di risparmiare, che nulla hanno a che vedere con le esigenze reali dei cittadini (una Scuola pubblica libera e davvero meritocratica, perché tutti siano virtualmente uguali e abbiano le stesse possibilità di emergere e di far valere i propri talenti), ma che riproducono stancamente l'antica logica della sopravvivenza in cui tutto si riduce al "quanti soldati abbiamo e dove sono dislocati". Vizi privati e pubbliche virtù. La musica non cambia: con quale credibilità si può parlare di meritocrazia in un Paese che alla meritocrazia non crede, che non crede negli outsiders e nel dialogo, imprigionato dalle logiche delle corporazioni e delle lobbies, e dove guardacaso lo stesso ministro ha affrontato gli esami nella sede più chiacchierata d'Italia, dove si parla di riforma della Scuola senza che – non dico Baumann… – ma non è stato consultato un solo pedagogista né alcuno degli addetti ai lavori…
Una dichiarazione come quella del ministro Gelmini sul fatto che il 97% delle uscite concernenti la Scuola grava sugli stipendi di insegnanti – sia detto per inciso socialmente poco riconosciuti e fra i meno pagati d'Europa – è sintomatico del punto di vista scelto per guardare ai problemi. Visto che siamo qui a discutere dell'efficacia formale di grembiuli, voto in condotta e altre amenità, potremmo cominciare col dire che in Europa ogni insegnante ha la sua aula e non è lui che deve recarsi nelle diverse classi, e che quel 3% residuale di cui sopra, a voler tacere dell'edilizia scolastica, non è sufficiente a pagare le fotocopie predisposte per i compiti in classe e a offrire lavagne e banchi più moderni di quelli del dopoguerra.
Ma il problema è ancora più a monte: giacché si richiede alla Scuola, senza offrire mezzi e da ora anzi riducendoli ulteriormente, di rispondere a tutte le domande che una società sempre più sbilanciata e frammentaria pone con sempre maggiore evidenza ai ragazzi e alle famiglie. Dove l'informazione cresce esponenzialmente a scapito della conoscenza e di quella diversa specificità dei saperi che, in un mondo terziarizzato, si fanno sempre più necessari.
Quello che mi ha colpito degli slogan ascoltati in strada è stato il livello di riproducibilità tecnica: in gran parte infatti si trattava di slogan riadattati dalle curve da stadio: è questo, forse, il senso di una osmosi sempre più stratificata e complessa fra una dimensione del sociale esposta e sempre meno perimetrabile e una politica sempre più marginale e arroccata, fatta di trucchi con le carte e con lustrini che distolgono l'attenzione dai problemi reali.
Seppure in un'epoca di leaderismo, sarebbe tuttavia un grave errore spostare il baricentro del confronto interno al Partito democratico e al centrosinistra, sul modello berlusconiano. Può darsi che, di fronte a una legge sbagliata sia giusto e opportuno ricorrere al referendum; ma resto convinto che sia ancor più necessario riempire di contenuti i vuoti contenitori-decreto del centrodestra, fare le leggi piuttosto che abrogarle e battersi per un consenso sempre più esteso.

1 commento:

Anonimo ha detto...

L'impianto complessivo di questa terza fase dell'avventura berlusconiana si può sostanziare in questi termini:
1) Essendo il paese a crescita zero e con prospettive nere, visto anche il contesto internazionale, per il prossimo futuro
2) Non potendo aumentare il deficit di bilancio più di tanto visti vincoli europei(ma ricordo che il debito pubblico è salito a 1.654/mld di euro contro i 1.598 di fine 2007 e che a fine anno sarà ben superiore al 104% del PIL al quale era stato fatto ridiscendere da Padoa Schioppa)
3) Non volendo combattere l'evasione fiscale che il precedemte governo aveva efficacemente contrastato tanto che erano stati recuperati 22 mld di imposte dal tanto vituperato ministro Visco
4) Non potendo aumentare le aliquote fiscali visto che il sig.berlusconi si è sempre vantato di "non mettere la mano nelle tasche degli italiani(ma ricordo che la Robin Hood tax altro non è che aver riportato l'IRES(imposta sul reddito delle società) per bache, assicurazioni e industria petrolifera dal 27,5% al 33%(Prodi aveva fatto esattamente il contrario) e quindi il sig. Tremonti le "tasse", che poi sono "imposte", le ha aumentate, tutto ciò premesso
l'impianto della politica economica del governo si basa su tagli drastici delle spese dello stato (8,1 mld nel 2009 11,5 nel 2010 25,2 mld nel 2011 la riduzione netta delle spese quale si evince dalla "finanziaria triennale Tremonti" cioè dalla L. 133 del 6.8.2008)che, contrabbandati per lotta agli sprechi, che pur ci sono, si traduce nei fatti nello smantellamento dello stato sociale così faticosamente costruito nel dopoguerra nel nostro paese. Per quanto attiene al settore della scuola i tagli ammontano a 8 miliardi di euro. Questa è la riforma Gelmini la quale, poverettta,con tre t, è stata mandata allo sbaraglio dal suo padrone e dal ministro dell'economia.
Se questo è quello che gli Italiani vogliono, la cura Berlusconi è quella più efficace.
Ma molti segnali indicano che la "gente" ha cominciato a capire e si sta svegliando dal grande sonno indotto da Talpe, Isole dei famosi, Grandi Fratelli e dagli esilaranti telegiornali di Emilio Fede, per non parlare del disgustoso "Giornale" fondato da quel galantuomo di Montanelli, che si sta rivoltando nella tomba, ora diretto dal "disgustoso" Dr. Giordano. Forse, però, era meglio aggorgersene prima.

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