Alessandro Berteotti

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martedì 12 agosto 2008

Politica economica occidentale al capolinea?

Le cronache odierne ci raccontano ancora una storia di sofferenza economica per il nostro paese, con una inflazione che torna sopra il 4% dopo tredici anni. Ma leggendo bene, ci si rende conto che la crisi è quanto meno europea. I costi di produzione sono aumentati dal 6 al 10 per cento in Germania e Inghilterra: un segnale molto negativo.
Diventa allora importante capire chi e cosa determina questo momento, che non è più solo un frangente passeggero.
La crisi del petrolio è pesantissima per tutto il mondo occidentale, ed ad innalzarne il costo sono la speculazione internazionale e le richieste crescenti da parte dei paesi emergenti, India e Cina. In questi paesi le produzioni sono però in buona parte originate dai produttori occidentali, Nord Americani ed Europei. La Cina e l'India non hanno prodotti di grande esportazione verso l'Occidente; anche la Tata, azienda del settore auto compartecipata FIAT, non ha ancora mercato nè in Italia nè nel resto d'Europa. In India però vi è una concentrazione di cervelli impressionante, molte aziende multinazionali si affidano a centrali di servizi operanti in India, soprattutto nel settore delle telecomunicazioni e tecnologie informatiche.
Se percorriamo questo ragionamento fino in fondo, otteniamo che il grande sviluppo di questa parte del mondo è stata voluta dal mondo occidentale, costantemente alla ricerca di mercati in grado di produrre a basso costo gli stessi prodotti che faremmo noi. Naturalmente le tecnologie sono state introdotte dalle nostre imprese, mentre le materie prime sono per lo più reperite in loco. Ecco quindi che anche la filiera della qualità ogni tanto denuncia qualche episodio di gravissima rilevanza, come nel caso dello scorso anno delle vernici al piombo usate per un notissimo modello di bambola, molto in voga anche tra le nostre bambine.
Chissà quanti e quali altri tipi di danno o inefficienza lamentano questi prodotti, ma non è questo l'argomento che volevo trattare. Restiamo nel tema economico: abbiamo espulso molte produzioni dal nostro paese per rincorrere il sogno di una maggiore competitività internazionale, costi produttivi più bassi, per tenere presso di noi la ricerca e sviluppo. Però poi si realizza la "fuga di cervelli" che spesso denuncia Piero Angela nelle sue trasmissioni, facendoci intendere che così perdiamo un capitale ed una ricchezza, anche solo potenziale, enorme.
Rispetto a quarant'anni fa, si è invertito il rapporto tra impiegati e operai, e questo anche perchè molte produzioni ormai sono fatte con macchinari che richiedono tecnici sulle linee produttive.
Però sulle impalcature edili, dove è impossibile esportare la produzione all'estero, importiamo mano d'opera straniera, per lo più extracomunitaria, troppo spesso non in regola e clandestina.
Nelle fonderie, ma anche nelle aziende meccaniche e chimiche, così come nel tessile e nei trasporti, sempre più vediamo persone extracomunitarie ricoprire soprattutto le mansioni più umili, faticose e pericolose, mentre noi siamo sempre più reticenti a lasciare che i nostri figli facciano un'esperienza lavorativa di questo tipo.
Queste persone ormai fanno parte del nostro tessuto civile, anche se continuiamo a tenerle ai margini della società, producono parte non indifferente del nostro PIL, il Prodotto interno lordo, quello che determina la nostra ricchezza. Chi oggi ha trent'anni di lavoro, molto probabilmente tra vent'anni dovrà dire grazie a queste persone se potrà continuare ad avere una pensione.
Non si può sintetizzare in poche righe un argomento così difficile, c0mplicato, complesso e delicato, ma mi piacerebbe avere una risposta da coloro che più di vent'anni fa iniziarono questo percorso verso l'industrializzazione dell'Estremo Oriente e contro l'immigrazione: oggi fareste ancora le stesse scelte, oppure questa corsa disperata al paese che lavora a prezzi sempre più bassi può ancora continuare senza una nuova forma di orientamento dell'economia globale?
La globalizzazione ed il capitalsmo sono definitivamente falliti e si può cominicare a ragionare in termini di società solidale e società a rete? Aspetto graditi commenti...

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