Alessandro Berteotti

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domenica 17 maggio 2009

La crisi c'è, eccome. Ecco i numeri.

In queste ultime settimane tutti gli indicatori finanziari ed industriali danno chiarissimi segni che la crisi è ancora molto lontana dall'essere risolta. L'ultima notizia riguarda il potere di acquisto dei salari in Italia: con un salario netto di 21.374 dollari, l'Italia si colloca al 23/o posto della classifica dei 30 paesi dell'Ocse.
Questo significa che il costo del lavoro nel nostro paese è già sotto la media internazionale, mentre il costo dei beni è decisamente più alto. Questo significa anche che in qualche modo i lavoratori italiani si barcamenano quando hanno un lavoro, ma sono davvero in difficoltà quando il lavoro non c'è più.
In queste condizioni dovrebbe essere interessante per investitori di altri paesi venire ad investire in Italia, se non fosse per le tasse che si pagano, visto che la manodopera è tra le più qualificate del mondo e la produzione ha nicchie di assoluta eccellenza; eppure tutto questo non sembra bastare per farci restare ai bordi della crisi.
Un altro fattore che ha fatto da ammortizzatore per la nostra economia è la situazione del credito delle nostre banche, le quali hanno avuto difficoltà anche grandi solo perchè nei loro portafogli erano presenti notevoli quantità di titoli "spazzatura", quelli sui quali tutte hanno fatto speculazione e che adesso sono solo carta straccia. Ma in Italia il credito era da sempre a basso rischio proprio perchè le banche hanno sempre avuto un atteggiamento molto cauto (ed uso un eufemismo) nei confronti degli investitori.
Ma questi sono gli unici indicatori positivi, ammesso che prendere una paga inferiore agli altri paesi possa essere positivo... Tutto il resto dice solo di un pauroso arretramento ad ogni verifica degli indici sia interni che internazionali.
Il PIL, il prodotto interno lordo crolla nei primi tre mesi dell'anno. Va giù del 5,9% rispetto allo stesso periodo del 2008 e del 2,4% nel confronto con i tre mesi precedenti. E' il peggior risultato da 29 anni a questa parte ed esattamente dal 1980, quando ha inizio la nuova serie storica confrontabile. E' il quarto calo consecutivo per l' economia. Secondo i calcoli dell'Istat, il ribasso già acquisito per l' intero anno è del 4,6%: significa che questa sarà la performance finale del Pil se le variazioni dei prossimi trimestri saranno nulle.
Pesante anche il crollo delle entrate fiscali nei primi due mesi dell'anno. Azzoppato dalla crisi economica e dalla recessione, il gettito di gennaio e febbraio è diminuito, rispetto allo stesso periodo del 2008, del 6,6 per cento: all'appello delle casse dello Stato mancano 4 miliardi riducendo gli incassi a 56,8 miliardi. L' Iva, l'indicatore più sensibile al calo dei consumi (ma potrebbe risentire anche di un aumento dell' evasione), è crollata del 9,7 per cento perdendo 1,3 miliardi. L'Ires, pagata dalle imprese, è precipitata del 64,2 per cento. Regge l'Irpef, sostenuta soprattutto dal lavoro dipendente, con un calo del 2,2 per cento. Calo generale comunque per tutte le voci legate in qualche modo al tenore di vita: dall' imposta di consumo sul gas metano (9,5%) all' imposta di registro (14,9%).
Tutti questi dati dovrebbero far tremare le vene ai polsi dei nostri governanti, se aggiungiamo l'onere derivante dal terremoto in Abruzzo. Anche qui l'altalena politica sui contributi della Comunità Europea è stata patetica: non li vogliamo, ma se ce li danno li prendiamo.
Ed i costi per la ricostruzione richiedono fondi che oggi non ci sono. Anzi, a questo proposito, la situazione del debito pubblico è assai preoccupante, anche perchè quasi tutti i paesi industrializzati hanno preso sulle spalle del debito pubblico buona parte degli oneri derivanti dai vari "buchi" creati da banche, assicurazioni e privati. Stando alle previsioni del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), il rapporto tra il debito pubblico e il Pil negli Stati Uniti passerà dal 63% del 2007 al 107% nel 2014; in Giappone, dal 188% al 234%; dal 66% al 91% in Eurolandia; e dal 103% al 129% in Italia. Sono solo stime, ma rendono l' idea dell'enorme espansione del debito che sta avvenendo contemporaneamente nel mondo.
Io credo che la crisi sia in realtà ora in una fase di stallo, che il prossimo passaggio possa essere una piccola ripresa, ma il fatto è che non ci sono segnali certi nè di quando nè per quanto essa possa avvenire. Di certo il 2009 non potrà rimontare tutto il disavanzo che abbiamo accumulato: sarà un anno di sofferenza e di speranza per il futuro, ma sarà anche il caso che il Governo Pinocchio la smetta di tenere questo atteggiamento nei confronti dell'Italia e degli italiani e si assuma fino in fondo le proprie responsabilità, attuando finalmente misure in grado di essere un correttivo efficace a questa situazione.

1 commento:

Alberto Pirani ha detto...

Il grosso rischio è che ,essendoci una enorme necessità di finanziamento da parte di tutto il mondo, potrebbe determinarsi un "ingorgo" e una situazione in cui potrebbe non esserci risparmio a sufficienza per sottoscrivere tutto il debito.In tal caso i risparmiatori ( privati, enti istituzionali,fondi sovrani, fondi pensione) potrebbero "abbandonare" gli emittenti più a rischio. Se ciò si verificasse, e questo è uno scenario largamente possibile, il nostro Paese si troverebbe in tempi brevissimi "in Argentina", e sarebbe un disastro assoluto. Il premier anche ieri ha accusato media ed opposizione di essere responsabili della crisi che, secondo lui, è "psicologica". Io trovo che sia "psicopatica" una valutazione del genere

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