Alessandro Berteotti

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giovedì 5 agosto 2010

Una città deveicolarizzata

Anche ieri si è consumato un dramma della strada: una persona in bicicletta uccisa da un'auto. Un lutto ed un dolore che accomuna tutti, che ci interroga sul senso di queste cose, che fa sprofondare nella disperazione anche chi involontariamente si trova a rendersi responsabile di questi incidenti. Vittime innocenti di una delirante e perversa modalità di concepire la vita, la modernità, il progresso.
Come vi possa essere progresso vero e rispetto della vita quando ancora oggi una decina di persone nella nostra città, ogni anno, perdono la vita in incidenti stradali, questo me lo chiedo da troppo tempo senza trovare il modo di fare qualcosa. Anche perchè prima di fare occorre pensare.
Ed allora ecco un paio di riflessioni su questo tema. La prima è quasi tecnica: se due mezzi si scontrano, è sempre il più debole a rimetterci di più. Così si registrano più vittime tra pedoni, ciclisti e motociclisti che fra automobilisti e guidatori di mezzi pesanti. Questi ultimi, però, sono spesso coloro che fortuitamente generano questi incidenti e ne sono responsabili.
Si dà molta importanza e rilevanza alla velocità, ma personalmente sono convinto che sia molto peggio la distrazione e la disattenzione alla guida, come afferma una campagna pubblicitaria in corso in questi giorni.
Occorre rendersi conto che mettersi al volante di un automezzo oggi vuol dire prendersi una gravissima responsabilità civile e talvolta anche penale, per le conseguenze della propria guida. Ed altrettanto spesso si viene coinvolti in incidenti non per la propria guida, ma per l'incoscienza e la distrazione di altri, ad esempio di coloro che parcheggiano mezzi in luoghi o posizioni che assolutamente non si conciliano con il tipo di traffico che regna nelle nostre città. Ma ne parliamo adesso, oggi perchè c'è un grave motivo e domani riprendiamo il solito stile di guida.
La seconda cosa che mi fa riflettere è invece più morale. In città opera, e credo venga universalmente riconosciuto merito ai suoi volontari (al di là di sterili polemiche politiche) il CAV, Centro Aiuto alla Vita. Esso si occupa di trovare risorse e rifugio per donne in attesa di un figlio in difficoltà, affinchè non pratichino l'aborto, non siano preda di follie assurde e vigliacche, a tutela loro e del bimbo nascente. Perchè faccio questo riferimento? Perchè sento la necessità di avere un identico ente o associazione che si proponga di salvare la vita a tutti coloro che viaggiano sulle strade della nostra città.
Come? Forse è prematuro approfondirlo, servirebbe uno studio più preciso, dettagliato e professionale, ma un'idea ce l'avrei. Prima di esporla, però, mi si faccia dire un'altra cosa, anche se so che qualcuno dirà che sono noioso: abbiamo speso come comune di Busto Arsizio una cifra ragguardevole per elaborare, dopo quindici anni, un Piano Urbano del Traffico (PUT), valido nell'analisi, ma assolutamente inutile e inefficce nell'attuazione perchè riadattato in chiave politica, volta a salvaguardare interessi di bottega più che per risolvere i problemi veri del traffico cittadino.
Così non va. E sarebbe un ennesimo motivo per cui i cittadini di Busto Arsizio dovrebbero svegliarsi da quel torpore politico che li attanaglia per capire come sono effettivamente le cose.
Quindi, ripartendo da quanto afferma questo PUT, credo che la nostra città, sia per l'estensione del territorio (sono circa 30 chilometri quadrati), che per il numero degli abitanti (oltre 80.000) possa costituire un buon banco di prova per arrivare alla realizzazione della "città deveicolarizzata". E' un'idea che ho da tempo, e che si sta componendo faticosamente pezzo dopo pezzo, vedendo come in un puzzle i singoli tasselli andare a posto e configurarsi l'idea finale.
Qui la voglio solamente annunciare, probabilmente ci vorranno diversi post per riuscire ad esporla tutta chiaramente, ma il concetto di base è che non necessariamente il rapporto di vita tra la persona e la città debbe passare attraverso il mezzo privato per eccellenza, l'auto.
Di conseguenza, dovrebbero restare esterni alla città tutti i mezzi pesanti che vi transitano, a qualsiasi titolo. Impossibile? Questa parola non esiste, siamo solo noi uomini a non credere nelle nostre possibilità ed essere schiavi delle nostre abitudini.
Ecco perchè abbiamo tanti insuccessi: perchè giudichiamo prima ancora di aver compreso e sperimentato.
Il mio obiettivo è di salvare la vita o una invalidità o anche solo una lieve ferita a centinaia di persone della mia città, ogni anno. Se non avessi questa pretesa, vi sarà sempre chi continuerà a pensare che il prossimo a cui capiterà qualcosa di grave sarà un altro, mentre invece quel "prossimo" sarà proprio lui.

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