Alessandro Berteotti

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venerdì 22 giugno 2018

Essere italiani, da cosa lo capiamo?

In questi giorni penso a cosa sta facendo il Governo e leggo alcune note di agenzia. "Continua la luna di miele con gli italiani", il messaggio è chiaro. Ma finora tutte le azioni sono state concentrate nell'agire contro i migranti. Come sta facendo il vero capo del Governo, il ministro dell'interno leghista Matteo Salvini, che si garantisce una serie di benevolenze: apparente salvaguardia della sicurezza, dei posti di lavoro, delle risorse pubbliche investite a beneficio di queste persone (meno assistenzialismo) di cui noi non sentiamo il bisogno che arrivino sulle nostre coste a rovinare le vacanze VIP...
Abbiamo capito che il mondo sta cambiando velocemente, ma forse non abbiamo ancora capito come sta cambiando. E' inevitabile che nel futuro ci sarà meno distinzione di razza, colore e cultura a contrassegnare un popolo, una nazione.
Saremo sempre più di diversi colori, di diverse razze, di diverse culture. E di diverse storie.
Opporsi a questo processo è impossibile, erigere barriere come tra USA e Messico è costoso e pericoloso e sicuramente non farà progredire chi cerca di proteggersi. Difendere posizioni di ruolo è miope: dà qualche vantaggio nel breve periodo, ma rischia di compromettere il futuro.
Propongo un altro ragionamento: cosa significa oggi essere italiani? E chi è italiano?
Ricordo una scena vista in TV qualche anno fa: in via Paolo Sarpi a Milano, quartiere cinese della città, avvenne un duplice omicidio. Gli inviati di RAI3 intervistano le persone del luogo. La mia TV è accesa, seguo l'edizione pomeridiana delle 14.00, ma io ascolto solo l'audio... Parla una signora che con accento marcatamente napoletano dice: "In questa zona non si può più vivere, rischi di uscire di casa e ti sparano...". Due ragazzi intervengono e in perfetto accento milanese le dicono: "Ma no signora, cosa dice? Un episodio non può essere generalizzato in questo modo"... La sera guardo lo stesso servizio e mi accorgo che i due ragazzi con accento marcatamente milanese avevano i tratti di cinesi. Eppure per me erano più italiani della signora napoletana.
Un episodio più recente accade sul treno. Una famiglia di origine sicuramente araba, padre, madre e due bambini. I genitori parlano un italiano stentato ma chiaro, i figli parlano un buon italiano. Sono in età scolare, probabilmente tra i sei e i nove anni. Come sempre i bambini invadono gli spazi e finisce che la conversazione si allarga agli adulti... mi parte una domanda: "Ma voi non siete italiani, perché parlate italiano coi vostri figli anche quando parlate di cose familiari?"
Mi risponde il padre, con uno sguardo molto orgoglioso: "Noi veniamo dal Mali, nazione molto povera. Abbiamo rischiato la vita, ma ora siamo qui. Parliamo italiano perché ora siamo italiani e vogliamo che anche i nostri figli lo siano". Mi sono sentito uno stupido e ho capito che loro erano molto più italiani di tante persone che sono italiane da centinaia di generazioni e che rivendicano diritti per cui non hanno mai dovuto lottare. Adesso hanno paura di perderli a favore di chi rischia la vita per conquistarli. Chi avrà più possibilità di successo nella vita?
Io ammiro la dignità di queste persone e penso che abbiano molto da insegnarci, soprattutto possono dirci quale potrà essere il modo giusto di guardare al futuro senza paura di perdere qualcosa, ma con l'ambizione di guadagnare molta gioia e felicità.

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