Alessandro Berteotti

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mercoledì 17 febbraio 2010

Privato o pubblico

Nei precedenti post ho trattato di come sia cambiato il lavoro negli ultimi 40 anni, e prendo a riferimento proprio lo statuto dei lavoratori del 1971, della difficoltà nel giudicare il lavoro svolto ed attribuire il giusto riconoscimento.
A questo proposito, vorrei aggiungere una nota alle ormai famose dichiarazioni del Ministro Brunetta in merito al lavoro pubblico: credo che chi oggi lavora nel settore pubblico sia perfettamente comparabile a chi opera nel settore privato. La produttività è misurabile e spesso è superiore alle aspettative. Ad essere inadeguati invece sono certi burocrati, passacarte e tirapiedi che sono più vicini all'area dirigenziale o di conduzione politica della pubblica amministrazione, che non i singoli operatori di più basso livello.
Il Ministro Brunetta ha già dato ampia testimonianza della frase: "Fate quel che dico, non fate quel che faccio"; è il miglior testimonial che le sue parole andrebbero rivolte a chi dirige, piuttosto che a chi opera. E vorrei fare qualche esempio, che tutti ben conoscono: nomi come Cimoli o Catania, che hanno fatto letteralmente dei disastri in Alitalia e in FS/Trenitalia, sono stati coperti di denaro al momento di lasciare il loro incarico, invece di essere chiamati a riparare economicamente i danni che con la loro azione avevano causato alle aziende.
Questa disparità di trattamento, non solo economico, ma anche nel merito delle responsabilità, lascia davvero esterrefatti e rafforzano la percezione che Brunetta abbia voluto, in linea con il suo Governo, fare una facile propaganda populista, legata più ad uno vecchio modo di percepire il lavoro pubblico che ad affrontare i reali problemi di chi opera in questo settore.
In realtà, oggi si resta sconcertati di fronte al diverso modo di operare anche tra realtà vicine, se non prossime. Per fare un esempio sulla nostra pelle locale, una pratica edilizia che a Busto Arsizio richiede tre-sei mesi di tempo per essere istruita, a Legnano o Gallarate viene evasa in tempi molto più veloci, e questo è in buona parte dovuto al fatto che il personale di queste città sa quello che deve fare, mentre quello di Busto Arsizio ha un notevole arretrato di formazione. Tale arretrato diventa profondo ai livelli di maggiore responsabilità, frutto sia dell'assenza di formazione specifica, sia del sistema clientelare che ha regolato per anni gli avanzamenti all'interno dell'amministrazione di Busto Arsizio.
Ciò è reso pubblico dall'esperienza vissuta e documentata dall'ispezione della Corte dei Conti, che è più devastante per i giudizi espressi nel merito del lavoro svolto che non per le sanzioni comminate, pure rese note dai giornali con grande clamore. Questo era ed è il vero problema innescato da quella vicenda che, ancora oggi, mette a nudo in questa città, in molti settori, l'aver attribuito incarichi di responsabilità a persone che ora non sanno più che pesci pigliare per non ricadere nelle ire della Corte.
Quella vicenda tanto terribile per la nostra realtà è, in verità, emblematica di una realtà più vasta e diffusa, a cui il Ministro Brunetta farebbe bene a prestare maggiore attenzione prima di formulare i suoi irosi commenti!

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