Tre di gennaio, primo giorno lavorativo. Sarebbe l'occasione giusta per augurare buon 2011 a tutti. E gli auguri li faccio volentieri. Peccato che in questo momento avremmo bisogno di ben altro che degli auguri.
Chi ha avuto modo di ascoltare o leggere i commenti all'omelia di Monsignor Agnesi, le osservazioni alla vita pubblica della città di Busto Arsizio (estendibile perlatro a un po' tutta la società italiana) sono gentili nei toni, ma taglienti nei contenuti.
Conservare la speranza, questo il messaggio di fondo, che però deve avere come motore una mentalità nuova, un'attenzione maggiore ai bisogni delle persone, una valutazione più attenta delle risorse a disposizione con una ridistribuzione più equa.
C'è un fatto: se la Chiesa diventa per una volta l'anno la voce della città, per tutto il resto dell'anno si sente solo la voce ufficiale del potere che afferma la propria verità. Le cose che contanto sono quelle che si fanno, non quelle che si dicono di fare.
I tanti problemi della città sono spesso minimizzati, volutamente ignorati; i ritardi, le mancanze, le omissioni sono spesso colpa del caso o di chi ha preceduto. Già, ma chi ha preceduto questa amministrazione?
Chi ha preceduto ha portato qui la Corte dei Conti, chi ha preceduto ha svuotato le casse del comune acquisendo mutui per costruire monumenti alla propria grandeur.
Ma i bisogni della città erano altri. Ad esempio, per anni l'amministrazione ha tenuto un atteggiamento almeno "neutro" nei confronti dello sviluppo industriale, in particolare nei confronti di alcune aziende che hanno chiesto di avere spazi per sviluppare l'imprenditorialità di questa zona. Come si fa ad essere così insensibili, ignorando che il mantenimento di un buon tasso di occupazione è la base per superare la crisi, che già di suo seleziona le aziende sane da quelle malate?
Ha ragione, monsignore: se viene meno la speranza, possiamo andare tutti a casa. Stranamente però la città pensa ancora di essere ad un livello superiore alle proprie possibilità. No, non lo siamo più. Solo la ricchezza accumulata negli anni passati permette oggi di pensare di avere ancora solidità economica.
Ma sappiamo che la finanza non è l'economia. E che la finanza non è ricchezza diffusa.
Busto rifletta anche su queste cose.
Chi ha avuto modo di ascoltare o leggere i commenti all'omelia di Monsignor Agnesi, le osservazioni alla vita pubblica della città di Busto Arsizio (estendibile perlatro a un po' tutta la società italiana) sono gentili nei toni, ma taglienti nei contenuti.
Conservare la speranza, questo il messaggio di fondo, che però deve avere come motore una mentalità nuova, un'attenzione maggiore ai bisogni delle persone, una valutazione più attenta delle risorse a disposizione con una ridistribuzione più equa.
C'è un fatto: se la Chiesa diventa per una volta l'anno la voce della città, per tutto il resto dell'anno si sente solo la voce ufficiale del potere che afferma la propria verità. Le cose che contanto sono quelle che si fanno, non quelle che si dicono di fare.
I tanti problemi della città sono spesso minimizzati, volutamente ignorati; i ritardi, le mancanze, le omissioni sono spesso colpa del caso o di chi ha preceduto. Già, ma chi ha preceduto questa amministrazione?
Chi ha preceduto ha portato qui la Corte dei Conti, chi ha preceduto ha svuotato le casse del comune acquisendo mutui per costruire monumenti alla propria grandeur.
Ma i bisogni della città erano altri. Ad esempio, per anni l'amministrazione ha tenuto un atteggiamento almeno "neutro" nei confronti dello sviluppo industriale, in particolare nei confronti di alcune aziende che hanno chiesto di avere spazi per sviluppare l'imprenditorialità di questa zona. Come si fa ad essere così insensibili, ignorando che il mantenimento di un buon tasso di occupazione è la base per superare la crisi, che già di suo seleziona le aziende sane da quelle malate?
Ha ragione, monsignore: se viene meno la speranza, possiamo andare tutti a casa. Stranamente però la città pensa ancora di essere ad un livello superiore alle proprie possibilità. No, non lo siamo più. Solo la ricchezza accumulata negli anni passati permette oggi di pensare di avere ancora solidità economica.
Ma sappiamo che la finanza non è l'economia. E che la finanza non è ricchezza diffusa.
Busto rifletta anche su queste cose.
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