Vorrei sfruttare l'occasione di riflessione che mi offre l'amico Alberto che ha commentato il mio post su "Il dialetto e l'intelligenza" per approfondire il tema, se possibile. Ha ragione lui quando afferma che sarebbe meglio allargare gli orizzonti, anche attraverso la migliore conoscenza delle lingue straniere (permettimi Alberto, ormai anche il solo l'inglese potrebbe essere insufficiente), non rinchiuderli su se stessi come cartoni dopo l'uso.
Proviamo un attimo a pensare che questa proposta sia seria e vada realizzata: quanto tempo ci vorrebbe per definire la didattica del dialetto (a proposito, quanti dialetti e quali? In Italia ne abbiamo centinaia...), preparare le grammatiche ufficiali (non mi risulta ne esistano, i dialetti sono per lo più lingue parlate e quasi mai scritte), formare gli insegnanti ed immetterli (a quale titolo?) nel circuito dell'istruzione. Credo che se si volesse anche fare una cosa arrangiata, ci vorrebbero almeno 3/5 anni. E i costi di questa operazione? A carico di chi resterebbero? Prima di fare certe proposte, almeno si dovrebbe verificarne fattibilità, tempi e costi, visto che stiamo parlando di politici che devono amministrare un Paese come l'Italia e che oggi serve anche un certo grado di istruzione, purtroppo non sempre indice di intelligenza. Da qui anche il titolo del mio precedente post.
Questo passaggio mi dà modo, invece, di parlare della lingua italiana, quella che davvero dovrebbe essere patrimonio comune e che invece viene spesso bistrattata e confusa tra dialetti e lingue straniere.
La nostra bella e complessa lingua, forse non facile da imparare come altre, ma sicuramente molto più interessante per le caratteristiche linguistiche e lessicali che la arricchiscono, è espressione di millenni di storia: dai latini ha tratto la matrice iniziale, già con influssi greci e poi, col passare dei secoli, attraverso il volgare, ha iniziato una trasformazione che l'ha portata ad essere l'idioma che oggi conosciamo. La lingua esprime anche l'amore per la propria nazione.
Ma ultimamente questa bella lingua ha dovuto subire l'onta della commistione sempre più forte, sempre più intensa, delle altre lingue straniere ed in particolare dell'inglese, che la sta cambiando in modo pericoloso ed estremamente rapido.
Vi sono parole entrate nell'uso comune come weekend, fast food, marketing, outlet, speaker, team, fiction, budget, flash, trendy, fashon, gossip, business, spoiler, card, manager, meeting, mobbing (oppure che usiamo nel nostro gergo di internet, come: webcam, mouse, home page, hardware, display, file), che ormai usiamo abitualmente nel nostro parlare quotidiano; a queste parole ne dobbiamo aggiungere altre che sono autentici neologismi anche per lo stesso inglese, addirittura alcune non esistono nemmeno in inglese, ma noi le utilizziamo anche con una certa naturalezza.
Parole come performante, routinario, splattato, poggare derivano da parole e verbi inglesi italianizzati. Un inquinamento che fa perdere di dignità alla nostra lingua.
A questo punto mi sembra di sentire qualcuno che obietta: ma come? prima mi dici di imparare le lingue, l'inglese e tutto il resto, di non rinchiudermi nel mio dialetto, ma poi mi obietti di non usare parole straniere nella lingua italiana? Certo!
Vorrei far presente che non c'è contraddizione: rispetto la lingua straniera, ne incoraggio lo studio, ma vorrei che parimenti fosse rispettata la lingua italiana. E questo lo dico proprio ai miei concittadini italiani: possibile che non possiate trovare una parola o un verbo che dica in italiano la stessa cosa che vi siete ormai messi nella testa solo in inglese? Tenete presente che molte persone anziane non hanno la possibilità di aver studiato le lingue da giovani e quando oggi i telegiornali usano tutto questo fiorire di termini stranieri, essi restano per lo più lontani dalla completa comprensione dei discorsi che vengono fatti. O forse è proprio questo lo scopo: creare una frattura generazionale?
Mi auguro di no, e reclamo dignità per la lingua italiana, anche nel rispetto dei tempi e dei modi verbali, senza scambiare continuamente congiuntivi con condizionali, usando con maggiore attenzione il passato remoto al posto del triste passato prossimo (molto diffuso in Lombardia), facendo anche attenzione alla corretta associazione tra articolo e nome: lo psicologo, non il psicologo. Eppure, quante persone anche colte vanno in televisione e parlano senza rispettare regole e grammatica. E magari lasciamo spazio anche a qualche espressione di origine dialettale come: "Cala il cane che lo piscio", oppure "arriva già mangiato". A queste frasi possiamo anche sorridere.
1 commento:
Continuo ad inserirmi.Sono completamente d'accordo: abbiamo infarcito la nostra lingua di una serie di parole inglesi o mutuate dall'inglese che la imbarbariscono, ma l'inglese non lo sappiamo. Conoscere una lingua significa essere in grado di sostenere una conversazione e parlare "scioltamente"(ed oggi basterebbe l'inglese per farsi capire in tutto il mondo) ma questo in genere non lo sappiamo fare. In compenso non sappiamo più parlare in italiano. Quindi recuperiamo pienamente l'italiano e impariamo bene almeno l'inglese. Per fare questo è necessaro che la scuola sia seria, pretenda impegno e rigore e sia selettiva. I nostri giovani debbono convincersi che la vita non è un lunapark e che ogni conquista richiede fatica. Se non lo capiscono è necessario che qualcuno lo ricordi loro. I dialetti sono simpatici e va bene conservarne l'uso locale ma niente di più.
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